Baronsale.com

Baronsale.com
Annunci Gratuiti Bar e Locali in Europa.

lunedì 19 giugno 2017

Lecito assoldare l'investigatore per spiare il dipendente

Lecito assoldare l'investigatore per spiare il dipendente

La Cassazione conferma la legittimità del licenziamento al dipendente scoperto a "maneggiare" la cassa


È lecito per il datore di lavoro assoldare un investigatore affinché controlli l'operato del dipendente se il presunto illecito non riguarda il mero inadempimento della prestazione di lavoro, bensì incida sul patrimonio aziendale. 

Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 14454/2017 , con cui ha respinto il ricorso di un dipendente che aveva chiesto dichiararsi l'illegittimità del suo licenziamento.

L'addetto alla cassa, sospettato di ammacchi di cassa, era stato scoperto a non registrare le vendite da investigatori privati, assoldati dal datore e che si erano finti clienti.

Inutile per il dipendente licenziato censurare la sentenza impugnata poiché aveva fondato le proprie conclusioni sulle dichiarazioni dei dipendenti dell'agenzia incaricati dei controlli: tali elementi di prova, secondo la difesa, sarebbero stati privi di adeguati riscontri, inattendibili e comunque illegittimamente assunti, posto che non risultava fatta al lavoratore la comunicazione prevista dalla richiamata disposizione dello Statuto dei lavoratori. 

Sì agli investigatori se l'illecito incide sul patrimonio aziendale.


In realtà, precisa la Cassazione, quanto all'utilizzo delle dichiarazioni di dipendenti dell'agenzia investigativa, la Corte di appello si era uniformata al principio di diritto, espresso in fattispecie analoghe, secondo cui: "in tema di controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, in ordine agli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma incidano sul patrimonio aziendale, sono legittimi - e non presuppongono necessariamente illeciti già commessi - i controlli occulti posti in essere dai dipendenti dell'agenzia".

Si tratta di soggetti che, fingendosi normali clienti dell'esercizio, si limitano a presentare alla cassa la merce acquistata e a pagare il relativo prezzo, senza porre in essere manovre dirette a indurre in errore l'operatore

Inoltre, a tutela del diritto di difesa dell'incolpato, è necessario che la contestazione sia tempestiva e che l'accertamento non sia limitato a un unico episodio, non sempre significativo, e sia corroborato dall'accertamento delle giacenze di cassa alla fine della giornata lavorativa del dipendente (Cass. n. 18821/2008).

Nel caso di specie, la Corte, nel fare applicazione di tale principio, ha accertato che gli elementi forniti dall'agenzia investigativa erano "stati raccolti in un apprezzabile lasso di tempo", avevano "riguardato molteplici episodi" e, soprattutto, avevano "trovato conferma nelle verifiche contabili operate dalla società e ritualmente documentate".

Aragoste e granchi vivi nel frigo: è reato


Aragoste e granchi vivi nel frigo: è reato.

Integrata la fattispecie di cui all'art. 727 comma 2 del codice penale per il ristoratore che tiene i crostacei vivi e legati a basse temperature


Integra il reato ex art. 727, comma 2, c.p., il gestore del ristorante che tiene i crostacei vivi al freddo della cella frigorifera e con le chele legate nell'attesa di finire in pentola. Così ha disposto la terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 30177/2017 , confermando la condanna nei confronti di un ristoratore e il risarcimento del danno alla Lav, parte civile.

La vicenda

A nulla sono valse le doglianze dell'imputato secondo il quale i crostacei, provenienti dall'estero, arrivavano già in quelle condizioni, non sanzionate da alcuna norma nazionale, perché non esiste prova che l'animale tolto dal ghiaccio per poi essere immerso in acqua calda, subisca o meno più dolore. Il crostaceo, anzi, vivrebbe le sue ultime ore in uno stato di "torpore e anestesia" che annullerebbe la sofferenza. Ma la Cassazione gli dà picche. 

L'orientamento sul reato ex art. 727 c.p.

Innanzitutto, dando continuità al consolidato orientamento in tema di maltrattamento di animali, la Corte afferma che "il reato permanente di cui all'art. 727 c.p. è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note, quali, ad esempio, gli animali domestici, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali". Tutto questo vale anche per i crostacei, che, in base alle recenti ricerche scientifiche, sono ritenuti "esseri senzienti in grado di provare dolore". 
Per cui, non c'è dubbio sulla condotta dell'imputato, considerato che i poveri animali venivano "strappati" alle acque a temperature alte per essere conservati in frigo a circa zero gradi e che esistono "accorgimenti più complessi – sebbene – economicamente più gravosi che consentono di accogliere i detti animali in modo più consono alle loro caratteristiche naturali".